diritto collaborativo

PENSANDO ALLA SEPARAZIONE O AL DIVORZIO
su una cosa possiamo essere tutti d’accordo…

CI DEVE ESSERE UN MODO MIGLIORE…LA PRATICA COLLABORATIVA
Un nuovo modo di separarsi in modo etico, rispettoso e civile.

Ho frequentato nel maggio 2014 un corso di 20 ore di formazione alla Pratica Collaborativa e ho incontrato un gruppo di avvocati che a Torino lavora seguendo questi prioncipi.

 

  • Nei conflitti familiari, la Pratica Collaborativa è un processo di negoziazione che riunisce i due coniugi o partner e i loro rispettivi avvocati, oltre ai professionisti necessari secondo le esigenze del caso concreto, (psicologo esperto della famiglia e della comunicazione, esperto sull’infanzia, commercialista) che li consigliano e assistono, in uno spirito di collaborazione, per trovare una soluzione concordata.

 

  • La Pratica Collaborativa, da anni applicata negli USA, in Canada e in numerosi Paesi Europei, è considerata sia dai clienti che dai professionisti coinvolti, come un metodo efficace di risoluzione dei conflitti, con un alto tasso di riuscita e di soddisfazione, che si protrae nel tempo, ed evita ulteriori giudizi contenziosi dopo la separazione o il divorzio.

Riporto qui alcuni stralci da un articolo scritto da Maria Cristina Bruno Voena,
Avvocata familiarista del Foro di Torino, membro dell’Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo (AIADC) e dell’International Academy of Collaborative Professionals (IACP)

“E’ proprio sulla tutela dei figli che si è maggiormente concentrata l’attenzione degli avvocati che hanno scelto di lavorare secondo questo nuovo metodo:
se la qualità dei rapporti della coppia genitoriale è migliore grazie al fatto che si è ottenuto un accordo agendo con onestà, trasparenza e buona fede e non è stata inficiata da dannosi conflitti, i bambini possono beneficiare di questa situazione, accettando senza particolari traumi la separazione dei genitori e vivendola quotidianamente con minori sofferenze.

Gli avvocati, ben consapevoli del costo psicologico del conflitto, si adoperano per far sì che ricevano tutela non le posizioni, ma, bensì, gli interessi dei loro assistiti.
Così, le istanze delle parti vengono vagliate con attenzione particolare al motivo che ne sta alla base: ad esempio, la richiesta di assegnazione della casa familiare, ovvero l’opposizione a tale richiesta, o, ancora, determinate pretese economiche, o, infine, l’ostinazione nel chiedere determinate condizioni relative ai figli possono celare timori, o esigenze che, se portati a conoscenza di tutti, compresi e discussi, consentono la ricerca di soluzioni diverse. Può trattarsi, forse, di soluzioni non del tutto rispondenti alle regole di diritto tradizionalmente intese ed accettate, ma sicuramente garantite sotto il profilo della legalità e legittimità grazie alla costante e continua presenza degli avvocati.
Tutto ciò può rendere più facile, per quella singola, specifica famiglia, la costruzione di un progetto di vita futura che preveda la scissione del rapporto di coppia, mantenendo, però, ben salda la relazione genitoriale: sono, infatti, i genitori/coniugi che partecipano attivamente al raggiungimento dell’accordo.
L’immediata reazione alla novità appena illustrata può essere, forse, la diffidenza: come è possibile, ci si può chiedere, che due persone che si odiano – fatto che si verifica spesso quando ci si separa – possano comportarsi civilmente e scegliere insieme gli elementi dell’accordo?
E’ possibile.
L’esperienza maturata sul campo insegna che la pratica collaborativa è un importante segnale di civiltà.
I professionisti lavorano “insieme”, senza riserve mentali di sorta, per aiutare i loro assistiti a trovare un accordo che poggi su solide basi e che sia, quindi, duraturo.
Si tratta di un’esperienza davvero nuova, ma molto proficua.
Detto questo, è evidente che l’esercizio della pratica collaborativa comporta un cambiamento culturale ed un approccio decisamente innovativo: non a caso, sono soprattutto le coppie più giovani che chiedono di intraprenderla.
L’accordo collaborativo, in sostanza, si modella meglio sul corpo della famiglia che tale accordo ha
raggiunto di quanto non lo facciano altre forme di progetti di vita costruiti in modo diverso, perché le parti, gli avvocati e gli altri professionisti coinvolti (psicologo e commercialista) lavorano prestando attenzione ai bisogni, ai timori, alle esigenze, agli interessi di tutti.”

CONDIVISIBILE, VERO?
Silvana Bragante, psicologa psicoterapeuta, analista reichiana, membro dell’associazione La Cicogna